Il Sentimento delle Cose, ovvero l'evoluzione dell'estetica giapponese.
L'estetica tradizionale
Non è affatto facile parlare di estetica giapponese tradizionale, in quanto essa non viene relegata nel campo dell'Arte e dei suoi oggetti, ma permane in ogni aspetto della vita e delle attività umane, anche le più banali. Questo perché l'estetica, come in tutto l'Oriente, non è scindibile dall'etica, anzi essa esiste proprio come forma visibile dell'etica. La stessa filosofia giapponese, come non accade in altri paesi che pure l'hanno tanto influenzata, come la Cina, si serve dell'estetica ancora più che della logica.
Per parlare dell'estetica in Giappone, si deve utilizzare un lessico specifico. Queste parole non sono concetti (enti logici estranei al pensiero giapponese), quanto varie sfumature della stessa concezione estetica, sfumature che si identificano in uno stato spirituale della persona, più che nelle caratteristiche di un oggetto.
1. Il Wabi: il ritiro dal mondo, la solitudine, generano una inconsapevole superiorità spirituale grazie cui, seppur vivendo nella mestizia e nella malinconia, si riesce a percepire la bellezza delle cose piccole ed effimere.
2. Il Sabi: affine al wabi, definisce una solitudine non triste, ma anzi pacifica e serena, che conduce all'accettazione di ogni evento senza opporsi, e quindi al Nirvana. L'uomo sabi rigetta il Mondo, che egli giudica impazzito, impegnato a correre dietro al piacere dell'attimo.
3. L' Iki: il termine non è traducibile; ha però alcuni rimandi alla poetica di Baudelaire (come il riferimento al mondo della prostituzione, dove convivono squallore e bellezza). Consiste in un gioco di opposti che si contrastano, convivono ambiguamente senza sovrapporsi. L'iki è la visione di un contrasto elegante, in cui prevale il regale o il meraviglioso, pur lasciando intravedere il laido e il grottesco; il limite tra i due è spesso definito a discrezione del fruitore. In base all'iki si inseriscono dissonanze studiate nella musica, materiali diversi nell'architettura etc.
Katsushika Hokusai, “La cascata di Amida molto in profondità sulla strada Kiso”. Bidimensionale ed essenziale. Buona parte dello sfondo e della cascata sono solo delineate, il colore di sfondo ha un ruolo preminente.
Il vuoto e l'artificio
Queste tre prospettive condividono i due poli fondanti dell'estetica giapponese, cioè il Vuoto e l'artificio.
Cos'è bello? Ciò che, con la propria apparenza, rende percepibile il Vuoto dietro la cortina del mondo fisico.
Il Mu, il Vuoto, in tutte e tre le religioni praticate in Giappone (shintoismo,buddhismo, taoismo) ha sempre avuto un ruolo filosofico fondamentale: esso è, paradossalmente, il nucleo basilare di ogni cosa esistente, ciò che accomuna tutto: il mondo scorre in il mondo scorre in un insieme di attimi, dove le cose emergono dal Vuoto e nel Vuoto ritornano. Occupa in un certo senso il medesimo ruolo “universale” dell'Essere nella filosofia greca.
Ciò che è bello, compare in quell'atmosfera sospesa e onirica dove la materia è ancora percepibile, ma lascia trasparire lo spirito. Assumono così valore il sentimento di mancanza, incompletezza e solitudine espresse dal wabi e sabi.
La produzione del bello si avvale di forme caratterizzate dall'artificialità e dall'asimmetria.
Asimmetria non come ripudio della completezza, ma come tentativo di imporre leggi estranee a quel mondo naturale che offusca la visione del Vuoto. Quindi sul mondo fisico viene compiuta un’astrazione, una deviazione, affinché subentri il senso di incompletezza alla simmetria corposa della natura, che riempie gli occhi e offusca la mente.
Per rifuggire dal naturale, si ricorre all'artificialità dell'iki, in cui si trae piacere estetico dalla commistione innaturale di opposti.
L'estetica giapponese tradizionale non si lascia volutamente coinvolgere dagli eventi socio culturali che si succedono nella Storia, e subisce solo l'influenza di nuove religioni o scuole di pensiero. Parallelamente a tutta la filosofia giapponese, essa si focalizza sull'interiorità dell'individuo, sul principio collettivo dell'universo, e sulla loro frequente fusione. E' metafisica, in un modo del tutto distante da come essa è intesa in Occidente, e resta impassibile ai mutamenti del samsara, il regno dei sensi, dello spazio del tempo, del Mondo e della Storia.
Giardino Zen. La sabbia così decorata rappresenta l’oceano, le pietre che ne emergono simboleggiano il mondo sensibile nell’attimo in cui emerge dal Mu.
L'estetica contemporanea: il Kawaii
Se l'estetica tradizionale non risente direttamente di alcun mutamento sociale o politico, quella contemporanea si può considerare una modificazione (o, secondo i pareri, una degenerazione) dell'estetica tradizionale, che prese piede circa 30 anni fa, con la piena occidentalizzazione del Paese (cioè col completo e consolidato stravolgimento della sua struttura sociale, politica, economica traizionale).
L'aggettivo kawaii significa letteralmente “carino”. Pur essendo un termine di uso comune, in sociologia definisce le tendenze della gioventù giapponese di questi ultimi trent'anni, raccolte sotto la denominazione di “cultura kawaii”, ovvero “ il gusto e l'atteggiamento di una generazione (la fascia d'età si sta allargando sempre più) che si riconosce in una mancanza di ideologie, e preferisce rifugiarsi in un mondo infantile, costituito da moine, atteggiamenti puerili, mode eclettiche e kitsch del vestiario, gadget, tendenze e linguaggi da bambino, cercando di ritardare sempre più la partecipazione al mondo adulto." [cit. da “Anatomia di Pokèmon”]
La società nipponica è organizzata su modello meccanicistico: ogni individuo esiste come rotella di un gigantesco ingranaggio, e anche le forti personalità dei leader hanno valore in base a quanto bene svolgono la loro funzione di comando, sono quindi essi stessi “al servizio della comunità”. L'individualismo non esisteva, almeno fino alla commistione col mondo occidentale. La sua scoperta, unita a eventi socio-economici piuttosto recenti come la speculazione edilizia, il boom economico degli anni '80, il consumismo, e il conseguente crollo dei titoli bancari, hanno allontanato e sfiduciato le nuove generazioni dalla “causa pubblica” a cui si erano dedicati i loro genitori. Da qui il concetto di moratoria, cioè il rifiuto di crescere: pressati da una struttura in cui non si riconoscono, e che tuttavia li opprime, li spinge in maniera coatta a dare sempre il meglio di sé, ad inserirsi nei gradi sociali più alti, i giovani tentano di ritardare il più possibile l'ingresso nel mondo degli adulti, trattenendosi oltre i tempi fisiologici in quello dei bambini.
Il kawaii si potrebbe considerare un semplice prodotto delle trasformazioni dovute alla società di massa e dei consumi: l'impiegato in giacca e cravatta devoto alla sua azienda diventa gradualmente la studentessa/bambina/prostituta in uniforme degli anni '90; cioè, tutto ciò che una volta era simbolo della devozione alla coesione del paese, ora viene assoggettato alle leggi di mercato e diventa anch'esso merce, da rendere il più possibile appetibile, e totalmente spogliato della sua profondità e significato originari.
Eppure esiste un legame del kawaii con l'estetica tradizionale: pur essendo ben più dolce, infantile e decisamente vistoso, esso prende dal sabi e dal wabi l'attenzione per le cose piccole e apparentemente banali, dall'iki la presenza di opposti e di distinzioni, che si evolve nella volontà di risaltare e distinguersi, anche se non necessariamente di essere “contro” qualcosa o qualcuno.
La cultura kawaii possiede molti degli stessi canoni estetici e valori della cultura del samurai, senza però essere riconosciuta come valida dalle generazioni che abbiano sorpassato i quarant'anni. [...] Ma di fatto, all'etica del samurai non crede quasi più nemmeno la maggior parte degli adulti, dunque in pratica i giovani giapponesi stanno combattendo una battaglia ideologica e generazionale contro un fantasma, dato che a tutt'oggi la cultura del samurai non esiste se non come mero ideale: ciò aiuta a spiegare come mai i movimenti di contestazione ideologica giovanile, contrapponendo la cultura kawaii alla cultura del samurai, di fatto non facciano altro che mantenere, in maniera gattopardesca, la stabilità dei valori tradizionali giapponesi." [cit. da “Anatomia di Pokèmon”].
Il kawaii, come l'estetica tradizionale, si risolve in un modo di vivere e pensare la propria vita. In conseguenza, esso si trasferisce nella dimensione “sensibile” attraverso l'aspetto degli oggetti che la persona possiede e dei suoi comportamenti. Oggi non esiste più un'arte tipica giapponese: i suoi artisti globalizzati producono un'arte che, seppur con una base tradizionale, ha assorbito tutte le avanguardie occidentali del secolo scorso.
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