mercoledì 19 gennaio 2011

Roma : capitale delle arti

Roma nel '700, gran mercato dell'arte:
i mercanti fanno affari, i quadri partono


di Fabio IsmanROMA (14 gennaio) - Roma «mantiene integro, anche se non più incontrastato, il ruolo di capitale delle arti», dice Enrico Castelnuovo; in città, «tutto il mondo si occupa di quadri, e pretende di saperne: molti vivono di questo traffico, soprattutto con gli stranieri», scrive Joseph-Jérôme Lefrançais de Lalande, celebre astronomo, durante il suo Grand Tour; «sul mercato, lavorava un folto numero di affaristi, uguale e per certi versi perfino superiore ad altri centri europei, fra cui Venezia», rincalza Paolo Coen, docente all’Università della Calabria, che al Mercato dei quadri a Roma nel XVIII secolo dedica un saggio in due tomi, 800 pagine (Olschki ed.). A quei tempi, «la grande scuola di tutto il mondo» (Winckelmann) era zeppa di turisti, e ognuno voleva tornare con un souvenir: Piranesi fa fortuna raccontando l’Urbe con le sue incisioni. Si «prende alloggio in quella piazza dove dimorano tutti i forestieri» (Stendhal, è piazza di Spagna) e «nulla al mondo può paragonarsi a questa perfezione»; la sera, «si balla al chiaro di luna sulla scalinata, uomini e donne col cappello di paglia, l’orchestra sono i musici del cardinal Acquaviva». E’ l’età che, in 166 oggetti e fino al 6 marzo, racconta Roma e l’antico, realtà e visione nel ’700, mostra ordinata da Carolina Brook e Valter Curzi nel rinato palazzo Sciarra della Fondazione Roma (cat. Skira).

Le strade di oggi ce lo ricordano ancora: via delle Muratte deve il nome ad Amoratto, il capo delle milizie pontificie che vi abitava; ai Borgognoni, c’erano gli artisti giunti dalla Francia; via Frattina è tributaria di un cardinale, Bartolomeo Ferratini. E’ allora che la diaspora dell’arte, fenomeno assai antico, a Roma s’intensifica. Partono veri e propri capolavori: la Vergine delle rocce di Leonardo e la Pala Ansidei di Raffaello (Londra, National Gallery), o il Vaso Portland, il più famoso vetro a cammeo antico, del I secolo a.C (Londra, British museum); sono negli Usa (alla National di Washington) l’Assunzione di Nicolas Poussin e a Copenhagen l’Imago pietatis di Andrea Mantegna. I “ricordi” dei turisti: talora davvero nobili, talaltra assai di meno; soltanto dal 1775 al ’76, il ritrattista Domenico Porta ne esegue (e vende) ben 160 del nuovo Papa Pio VI Braschi; per un periodo, i “quadrari” versavano cinque scudi ogni anno all’Accademia di San Luca: nel 1672, ne introita ben 350. A casa, sopra il negozio a Piazza Navona, Belisario Amidei ha le opere più belle, per le trattative più riservate: riceve mille scudi in quattro anni dal 1749 dal conte di Leicester per un gruppo di statue classiche; ed a via della Mercede, Ludovico Mirri redige perfino un catalogo di vendita; offre cento dipinti: il più costoso è Ero e Leandro di Agostino Carracci; ma ci sono pure Raffaello, Leonardo, Tiziano, Van Dyck, tre Caravaggio, Rembrandt e Rubens. «E’ un’osmosi», racconta Coen: «Molto parte; ma tanto anche arriva»; un tale, Stefano Libert, importa oltre 200 fiamminghi.

L’esodo, però, è certo superiore: l’ornamento dei palazzi «consiste in quadri che ricoprono le pareti dall’alto in basso; si sono intestarditi a riempire una galleria di Palazzo Giustiniani unicamente di Vergini di Raffaello: ma per un originale, 30 brutte copie» (Charles De Brosses); i falsi e i duplicati erano sempre in agguato. Ma case così, trasformano i conoisseurs in avvoltoi: tanti all’opera. Il più rapace è forse Gavin Hamilton: porta a Roma, e cede, la Madonna Ansidei da una chiesa di Perugia; da un ospedale a Milano, la Vergine delle Rocce. Ma importare non è sempre indispensabile: in Inghilterra, i Barberini vendono già dal Seicento; cento quadri nel 1691, 24 nel 1724, 42 nel 1805. Poche le resistenze, anche se il conte di Leicester Thomas Coke è in prigione alcuni giorni nel 1717, per aver cercato di esportare due statue antiche. Alienano nobili e preti: i padri di Santa Maria della Vittoria, la Madonna della Rosa di Domenichino, per soldi ed una serie di colonne marmoree. Ma c’erano anche le lotterie, con in palio quadri: circa 20 all’anno, frequentatissime; perfino buoni affari: il Prado ha un Arco di Trionfo di Domenichino ed un Ritratto di Francesco Albani di Andrea Sacchi comprati così. Spesso, le cessioni sono di massa: nel 1731, l’Ospizio dei Convertendi mette sul mercato 190 dipinti, oltre a mobili e sculture.

Rubens abitava a via della Croce; Poussin al Babuino; a via del Corso Goethe; Stendhal a Piazza di Pietra, in locanda. A piazza di Spagna 82, Piranesi aveva arredato il Caffé del Buon Gusto che, spiega Lord Sandwich inventore dei panini omonimi, godeva di ottima cucina. Con gli artisti, piombano dall’estero anche i mercanti: una guida del 1775, consiglia Thomas Jenkins. Nettuno e Tritone di Bernini (poi di Joshua Reynolds, e ora al Victoria & Albert a Londra) e la Madonna di Guido Reni ex Barberini passano per le sue mani, che non disdegnano però anche i falsi, censurati perfino da Giacomo Casanova. Caravaggio non era ancora di moda nella città in cui si “doveva” andare, «perché soltanto a Roma è possibile prepararsi a comprendere Roma»: parola di Goethe; quando va via, pianta (esiste ancora) una palma, dove, ogni domenica, usava sospirare con la bella pittrice Angelica Kauffmann.
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Fonte-Il Messaggero.it

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