La vita
è sogno:
l’arte incompresa
di Salvador Dalì
Il grande maestro del surrealismo sarà esposto a Vignola nei locali ex Bassoli di via Fontana. Le opere resteranno esposte per un mese
Modena, 28 agosto 2010. Eccessivo, senza confini. Sempre. Perché vivere sognando è una cosa, ma sostituire i sogni alla realtà, ignorando le conseguenze delle proprie azioni e camminando costantemente sull’orlo della follia, è davvero tutta un’altra storia.
Quella di Salvador Dalì, eclettico genio catalano e sovrano (in)discusso del surrealismo, sulla quale Vignola per un mese offrirà un suggestivo buco della serratura. Per poter spiare, attraverso otto sculture del maestro e una ventina di litografie originali, il fascino di un artista che finora, diciamolo, dalle nostre parti difficilmente si è visto.
Lo si potrà spiare, appunto, perché a sperare di comprenderlo, Dalì, si rischiano delusioni profonde. Ha usato troppi pennelli per dipingere i propri sogni: scultore, pittore, regista, designer, fotografo. Troppi per riuscire, ora, a sintetizzarlo con etichette o roba simile.
Eppure ha lasciato il segno in tutte le stazioni in cui si è fermato. Un solco, in certi casi. I suoi orologi molli, in cui il tempo si scioglie nel più liquido e inafferrabile dei concetti, sono stati fonte d’ispirazione inesauribile per diverse forme d’arte. Così come resta indimenticabile, riproposto in tutte le salse, il divano che ricalca le labbra rosso fuoco e ultrasensuali della diva Mae West. Lo stesso Andy Warhol rimase scosso dalle illusioni ottiche create dal catalano, e ne ammise più volte l’influenza fondamentale esercitate sulla futura pop-art.
Per non parlare degli angeli e dei crocifissi di Dalì — alcuni sono tra i pezzi esposti a Vignola nei prossimi giorni — osservati da prospettive assolutamente inedite prima di allora. Fino alle macchie d’inchiostro gettate a caso su una tela, al telefono a forma di aragosta, al celebre logo dei Chupa Chups che spopolò negli Usa e al microfono che riprendeva la silhouette della Venere di Milo, poi regalato alla rock-star Alice Cooper in vista di un concerto.
Impossibile, però, che quel suo continuo oscillare da un estremo all’altro, tra avanguardia e classicità fino alla fusione degli opposti, trovasse tutti d’accordo. Per i surrealisti ‘ufficiali’ fu una sorta di eretico, perché si rifiutò sempre di buttarla in politica. Fu espulso dal movimento, ma la sua risposta di fronte ai media dell’epoca — è nato nel 1904 ed è morto nel 1989 — fu "non importa, tanto il surrealismo sono io".
E alla sua prima mostra importante, davanti a vip londinesi sbigottiti, fece della sua apparizione nell’alta società un’altra opera d’arte, presentandosi in armatura da palombaro con due levrieri al guinzaglio e una stecca da biliardo in mano. "Mi stavo immergendo a fondo — si giustificò — nella mente umana".
Dalì ha poi esplorato, a suo modo, il subconscio, la religione, la natura, la scienza. Era ossessionato dall’elica del Dna. Perfetta e rigorosa, armonia pura. Un po’ la negazione della sua arte dai significati impalpabili e poliedrici, fatta di sogni.
Buenas noches.
Modena, 28 agosto 2010. Eccessivo, senza confini. Sempre. Perché vivere sognando è una cosa, ma sostituire i sogni alla realtà, ignorando le conseguenze delle proprie azioni e camminando costantemente sull’orlo della follia, è davvero tutta un’altra storia.
Quella di Salvador Dalì, eclettico genio catalano e sovrano (in)discusso del surrealismo, sulla quale Vignola per un mese offrirà un suggestivo buco della serratura. Per poter spiare, attraverso otto sculture del maestro e una ventina di litografie originali, il fascino di un artista che finora, diciamolo, dalle nostre parti difficilmente si è visto.
Lo si potrà spiare, appunto, perché a sperare di comprenderlo, Dalì, si rischiano delusioni profonde. Ha usato troppi pennelli per dipingere i propri sogni: scultore, pittore, regista, designer, fotografo. Troppi per riuscire, ora, a sintetizzarlo con etichette o roba simile.
Eppure ha lasciato il segno in tutte le stazioni in cui si è fermato. Un solco, in certi casi. I suoi orologi molli, in cui il tempo si scioglie nel più liquido e inafferrabile dei concetti, sono stati fonte d’ispirazione inesauribile per diverse forme d’arte. Così come resta indimenticabile, riproposto in tutte le salse, il divano che ricalca le labbra rosso fuoco e ultrasensuali della diva Mae West. Lo stesso Andy Warhol rimase scosso dalle illusioni ottiche create dal catalano, e ne ammise più volte l’influenza fondamentale esercitate sulla futura pop-art.
Per non parlare degli angeli e dei crocifissi di Dalì — alcuni sono tra i pezzi esposti a Vignola nei prossimi giorni — osservati da prospettive assolutamente inedite prima di allora. Fino alle macchie d’inchiostro gettate a caso su una tela, al telefono a forma di aragosta, al celebre logo dei Chupa Chups che spopolò negli Usa e al microfono che riprendeva la silhouette della Venere di Milo, poi regalato alla rock-star Alice Cooper in vista di un concerto.
Impossibile, però, che quel suo continuo oscillare da un estremo all’altro, tra avanguardia e classicità fino alla fusione degli opposti, trovasse tutti d’accordo. Per i surrealisti ‘ufficiali’ fu una sorta di eretico, perché si rifiutò sempre di buttarla in politica. Fu espulso dal movimento, ma la sua risposta di fronte ai media dell’epoca — è nato nel 1904 ed è morto nel 1989 — fu "non importa, tanto il surrealismo sono io".
E alla sua prima mostra importante, davanti a vip londinesi sbigottiti, fece della sua apparizione nell’alta società un’altra opera d’arte, presentandosi in armatura da palombaro con due levrieri al guinzaglio e una stecca da biliardo in mano. "Mi stavo immergendo a fondo — si giustificò — nella mente umana".
Dalì ha poi esplorato, a suo modo, il subconscio, la religione, la natura, la scienza. Era ossessionato dall’elica del Dna. Perfetta e rigorosa, armonia pura. Un po’ la negazione della sua arte dai significati impalpabili e poliedrici, fatta di sogni.
Buenas noches.
di VALERIO GAGLIARDELLI
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