scontrarsi sul terreno della pittura: infatti entrambi ricevettero l’ incarico, dal gonfaloniere Pier
Soderini, di affrescare due grandi pareti una accanto all’ altra nel salone del consiglio comunale a
Palazzo Vecchio.
Dovevano realizzare una battaglia: Leonardo quella di Anghiari e Michelangelo quella di Cascina.
Leonardo decise di utilizzare una diversa tecnica, per dare maggior resistenza e lucentezza ai colori,
la cosiddetta tecnica dell’ encausto, già descritta da Plinio il Vecchio e utilizzata anche per gli
affreschi nelle ville romane di Pompei.
L’ encausto richiede una fonte di calore molto forte per fissare i colori mescolati alla cera sulla
parete, ma su un’ opera di quelle dimensioni era molto difficile da utilizzare perché era necessario
accendere degli enormi bracieri a poca distanza dal dipinto in modo da asciugare rapidamente la
parete del dipinto. Leonardo ci provò, ma i bracieri furono accesi solo in corrispondenza della parte
inferiore, e così i colori posti più in alto si sciolsero e colarono.
Il biografo Anonimo Gaddiano (Cod. Magliab. XVII, 17, Biblioteca Nazionale di Firenze) scrisse:
<< […] la prima volta lo provò in uno quadro nella sala del Papa […], et davanti a esso accese un
gran fuoco, dove per il gran calore rasciugò et secchò: et di poi la volse mettere in opera nella Sala
dove giù basso il fuoco agiunse et seccholla: ma lassù non vi aggiunse il calore et colò. >> .
Nonostante i disastri l’ opera era stata in gran parte completata, e quindi, malgrado i danni, questa
“Battaglia di Anghiari” rimase esposta a Palazzo Vecchio per diversi anni, almeno fino al 1549;
molti la videro e molti la riprodussero anche, e tra questi Rubens, che ne ricopiò la parte centrale.
Lo stesso Vasari probabilmente utilizzò come spunto l’ affresco di Leonardo per le sue successive
decorazioni nella stessa sala, volute da Cosimo I de Medici, come ad esempio la lotta dei tre cavalli
incrociati nella “Sconfitta dei pisani a San Vincenzo”.
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