Quando al governo c'era Lui, cioè il cavalier Benito Mussolini, il pittore Melozzo degli Ambrogi (1438-1494), noto ai più come Melozzo da Forlì, conobbe il suo primo, grande momento di gloria. Nel 1938 la città di Forlì aveva organizzato una mostra celebrativa posta sotto gli «auspici del Duce» e inaugurata nientemeno che da «Sua Maestà il Re Imperatore». Nessuna rassegna era riuscita fino ad allora a suscitare un così vasto interesse nelle alte gerarchie italiane: ministri, ufficiali, miliziani, arditi, avanguardisti e camicie nere si trasformarono di colpo in raffinati estimatori di un poco noto pittore del Quattrocento italiano.
C'è da chiedersi come mai. La risposta la troviamo nel titolo stesso di quella rassegna: «Mostra di Melozzo e del Quattrocento romagnolo». Eccellente dal punto di vista scientifico (la curarono Gnudi, Longhi e Ragghianti), l'esposizione del '38 non riuscì però a scansare il rombo della retorica che si manifestò nell'impostazione critica della rassegna, tutta volta a enfatizzare il ruolo locale e regionale del pittore. Invece di vedere in Melozzo uno dei protagonisti del Quattrocento nazionale, il pittore venne considerato una sorta di gigante del «genio romagnolo», forse anche per compiacere Mussolini che, come Melozzo, era nato in Romagna, non lontano da Forlì. La propaganda fascista – culminante nei cinegiornali dell'Istituto Luce dedicati alla visita del Duce alla mostra – finì col nuocere all'ignaro maestro, il quale, essendo stato trasformato dal regime in una sorta di romagnolo sanguigno, schietto e ardito, si vide costretto a subire nel dopoguerra un processo di "epurazione" accademica. Quasi nessuno, infatti, si prese la briga di studiare sul serio quel pittore un po' "fascista" almeno fino al principio degli anni Novanta, quando una monografia di Nicholas Clark e una piccola, raffinatissima mostra allestita a Forlì nel 1994 per il centenario della morte, riportarono il maestro nella sua giusta luce.
La mostra organizzata ora nei Musei Civici di San Domenico dalla Fondazione Cassa di Risparmi di Forlì sancisce definitivamente questa lunga operazione di recupero critico. E lo fa alla grande, non solo perché propone in mostra addirittura 14 delle 21 opere superstiti del mirabile artista, ma le dispone accanto a eccezionali capolavori di Mantegna, Piero della Francesca, Paolo Uccello, Beato Angelico, Benozzo Gozzoli, Ghirlandaio, Botticelli, Antoniazzo Romano, Perugino, Signorelli e Raffaello Sanzio, per dimostrare il ruolo centrale rivestito dall'artista forlivese nella grande vicenda del Rinascimento italiano.